giovedì 1 settembre 2011

Verranno a chiederti del nostro amore - Il palio dei relitti


(foto di Nichi, scattata a L'Aquila nell'estate 2010)

“continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai” 
(Fabrizio De Andre')


Una calamità naturale è qualcosa che prescinde dalle nostre povere volontà. E’ qualcosa che prevarica la speranza nel futuro (meschina, misera o fantomatica). Che annulla la fiducia nel presente. Dove arriva il palio dei relitti, non arriviamo noi, protagonisti d’altri mondi schiusi al riccio degli eventi. Infilzati. Come serpi. E se dovesse servire una difesa senza aculei, suggerirei d’usare le manguste. Da piccolo mio padre mi raccontava dell’uso di metterne nelle culle coi bambini per proteggerli a quei tempi in cui Maria aveva già schiacciato la testa del rettile velenoso, rendendolo ancora più furente. Ecco, un vero e proprio leone ferito. Le ferite agli uomini non fanno lo stesso effetto. Le ferite spiazzano, debellano, decapitano la lucidità necessaria a comprendere quale sia la strada migliore da imboccare. Quella che impedisce di precipitare. Infatti continuamente c’è chi ci ferisce, e noi sbandiamo. Togliamo i pezzi di vetro dalle zampe, con pinzette o tenaglie a seconda del danno, e poi ci lasciamo stringere il cuore da ogni bel vento d’agosto. Caldi, bollenti, non vediamo altro che il mare, chiusi in un sonno lungo un mese. E quando riapriamo gli occhi piangiamo il settembre e cominciamo a rivivere l’inferno. Sempre più feriti e spaventati. L’uomo è un animale come tutti gli altri. Salvo che non fa conto sull’istinto. E’ semplicemente un animale domato che nasce in cattività. E fa talmente pena, che non ha nessun problema a viverci, a esisterci, a procreare. C’è da chiedersi a quale gene corrispondano le sbarre. Congenite, questo è evidente. Un tizio ultimamente mi ha detto che siamo una specie selezionata. Che scesero extraterrestri e ci mutarono da bestie semplici in ciò che siamo. Ecco, magari non è vero. Magari non  scesero mai selezionatori provetti trattandoci più o meno come noi trattammo i canidi. E nel caso avremmo fatto tutto da soli. Una lunghissima sega. Ecco, siamo frutto di selezione masturbatoria, di autoerotismo da sbrinamento, di criogenia autodeterminata degli istinti ritenuti meno pacchiani. Una compagna invece quest’anno sosteneva che siamo più che altro il frutto di selezione naturale. Darwinianamente parlando. La genia dei folli assassinò ogni sanità animale. E si riprodusse sul sangue. E prosperò e via via scacciò quei segni del passato che non ereditammo più, sostituiti da questa follia distruttiva che brucia e consuma e schiaccia, domina, massacra, conduce in cattività, lontano, tanto lontano dalla remota umanità. A me sembra che la vita giochi. Giochi a fare esperimenti. Quello che già esiste non serve riprodurlo. Quello che già esiste può solo gonfiarsi e tracimare. Esondare. Farci annegare. C'è una differenza tra l’essere umano e la formica? Cosa c'è scritto dentro i cromosomi? Leggiamo, cerchiamo se da qualche parte qualcuno ci promise una possibilità. Una speranza di abitare altro che formicai. La via s’inerpica lungo certezze in disuso. Fuori dai tunnel, dalle galere con gli schiavi, dalla logica della catena e dell’impero. Della colonia. Crollano i ponti. Gli ufo non scenderanno mai, o mai più. E Darwin è morto senza avere avuto ragione. Ai suoi passi falsi s’attaccano quei pazzi dei creazionisti. Artisti, è vero, di integralismo e mistificazione. La genia dei folli, di cui parlava la compagna. O ciò che dentro combatte disperatamente contro l’anelito, contro quella possibilità concessa. La pianta viene sopravanzata dai rovi in agosto. Le spine la feriscono. Lei scarta, si insinua, cerca la luce. La ottiene. Passa la carta alla sua vicina. La sua vicina scopre un asso. Al fianco ha un re, ed e’ bloccata. Si poggia una mano sul sesso. E decide che masturbarsi è meglio che niente. Un po’ come Passannante nella stanza sotto il livello del mare. O un po’ come qualche bestemmiatore professionista, durante l’evento che cambia il senso del mondo e ne fa un fuorilegge. L’onda si gonfia e la pianta raggiunge il primo raggio di sole. La terra trema. Proprio in quell’istante. Tutto da rifare. L’uomo guarda e sceglie. Da un lato una possibilità sconosciuta, promessa, intuita, remota. Dall’altro arrendersi e copiare, riprodurre, essere anche lui formica o come dire…  rassegnarsi a ricoprire il ruolo comodo e fatale di calamità naturale.

27 commenti:

  1. Del resto, l'uomo potrebbe anche essere questo: il beccamorto della natura. Non mi abbandona la speranza che un giorno se ne renda conto, e il suo disgusto per il mondo lo spinga infine ad essere la calamità definitiva.

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  2. @Yanez beh, il mondo e' un tantino fuori portata per le capacita' distruttive dell'essere umano. ma certo, e' una delle possibilita'. la vita, pero', se mai dovesse sparire a causa umana calamita', ricomincera' in chissa' quale altra forma come se niente fosse successo mai.

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  3. Il tutto rimane un mistero su cui rifletto spesso anche se mi viene da pensare ai 3 cattivi sentieri buddisti che sono: avidità, collera e stupidità e penso a quanto queste caratteristiche influenzino l'umanità

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  4. @Sabrina Ancarola io invece penso spesso, ultimamente, ai tre porcellini e a quanto sia falsa la loro epopea fatta di case di paglia, lego e mattoni....

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  5. ...la calamità naturale come occasione di cambiare rotta...di rinascere grazie ad una diversa consapevolezza...Una speranza...

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  6. @luisaluz non so. qualcuno l'ha detto, ne ha avuto l'impressione. di certo si creano, almeno pare, occasioni che prima non c'erano. ma io sono molto scettico su questo punto. per quanto l'impressione come detto possa essere questa, poi tutto si risolve nel delirio, nel particolarismo ed in situazioni se possibile peggiori delle rpecedenti. almeno, questo per quanto riguarda il genere umano e le societa' che costituisce da che storia racconta. per quanto riguarda la vita invece, beh... ad un certo punto cancella e riparte. e forse si, cambia rotta e tenta altri esperimenti.

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  7. Conosco della gente che traffica con strani acceleratori di particelle. Quando mi descrivono il loro lavoro, dicono cose come "Sai, potrebbe sprigionare tanta energia quanta ne occorre per 3 Big Bang..." Poi, di solito, viene fuori che avevano sbagliato una derivata, o che le pareti non erano abbastanza lisce, e non succede niente. Ma nei loro occhi brilla un anelito di distruzione universale che credo sincero.

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  8. ...anch'io sono molto scettica per quanto riguarda il genere umano. La vita di certo può cambiare rotta...se non passa per l'uomo...

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  9. p.s.: per l'occasione non sono più un pericolo...son di nuovo alla finestra!!!! ;-)

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  10. @Yanez guarda, mio cugino e' un fisico teorico. sta dietro ai tempi di decadimento del protone. non ho ancora capito se ce l'ha su con uno in particolare, o se gli va bene che ne decada uno a caso.. :)

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  11. @luisaluz mi sono espresso male. il mio scetticismo riguarda l'utilita' delle calamita' naturali come propulsione al cambiamento in positivo delle situazioni. in quanto al genere umano, io una speranzuccia ce l'ho... :) e sono sicuro che ce l'hai anche tu, altrimenti non saresti tornata ad affacciarti alla finestra :)))))

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  12. @cooksappe perche', il genere alimentare no? :)))

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  13. Il dannato protone ha i milioni di anni contati.

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  14. sìsì....avevo capito, non ti eri espresso male: anch'io mi riferivo al post-calamità...(post nel senso di "dopo" non di articolo pubblicato in un blog... ) e quindi all'utilità della calamità stessa nel progredire.
    Una speranzuccia ce l'ho....sì...e dalla finestra osservo se all'orizzonte appare qualche segnale...e qualcuno lo vedo ;-)

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  15. @Yanez a-ah!!! allora ce l'ha su con uno in particolare!!!

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  16. @luisaluiz "mia madre sguardo fisso sopra l'orizzonte guarda la luna e canta..." :))))

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  17. Mi sarei potuta fermare all'immagine senza leggere altro...già quella mi sta facendo pensare! Buon weekend

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  18. come si può credere alla creazione se non per una poesia dell'anima inculcata dall'alto. c'è di vero che ogni specie si adatta finchè ne trova le possibilità oppure si estingue e nella breve o lunga vita questa specie si evolve o si involve chissà!! e individualmente penso sia lo stesso, si cavano i frammenti che hanno causato ferite e si trovano spettatori alla commedia della vita oppure si muore, tanto prima o poi tutti faremo quella fine!!

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  19. @lilith ultimamente posto scritte anche sulle.. immagini :)

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  20. @angela ah io non credo nemmeno al fatto che moriro', non avendo memoria personalmente di alcuna esperienza simile....

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  21. Direi che quanto hai scritto rispecchia la mia riflessione di questi giorni. Quando veniamo feriti non torniamo mai gli stessi :/

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  22. La natura è tutto ciò di più logico che l'uomo tende a considerare illogico, e si sorprende...
    Le ferite degli uomini sono solchi che servono a ricordare, nel bene e nel male. Sapersi curare è come sentire e servire un po' di se.
    Siamo animali umani piccoli e fragili, se ci tagliassero a pezzetti non farebbero nulla di utile se non dar cibo alla natura. Ci selezioniamo naturalemnte ed una volta nella vita, tutti siamo stati i primi...
    L'uomo ha la possibilità e facoltà di scelta, e molte volte vede solo la terza opzione...il dubbio!

    è immorale pagare i libri...sì

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  23. @Elys non so, io ho scritto di peggio, a dire il vero.

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  24. @Marta ("se ti tagliassero a pezzetti il vento li raccoglierebbe" F. De Andre') allora forse e'naturale cercare di non sentire le ferite. perche' tutto cio' che abbiamo intorno ci parla di oblio. a voler ricordare cosa c'era prima di questo velo di niente...

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  25. il fatto che tutto parli oblio non ci obbliga a sentirlo...solo a percepirlo!

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  26. @Marta "sentire l'oblio" mi fa venire in mente la pescaresissima domanda "t'ha accot?", che qualcuno poneva fumando le prime canne, giusto il secolo scorso... :)

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