domenica 21 agosto 2011

Un po' porno - Necrofilia


(alcuni desaparecidos argentini)


Mentre viaggi sul treno io ti penso. Hai due borse di ghiaccio ai ginocchi e perplessa sorridi nel buio. I ricordi si addobbano a festa e sui sentieri, tra i ciliegi, scendono a valle per il ballo. Lì, ad attenderli, trovano sterminate distese a erba ruvida invase, terra, popoli del fango e umido. E sopra, tovaglie quadrate a scacchi bianchi e rossi, bianchi e grigi, gialli, come il becco di un merlo che vola nel cielo di Rimini. Adesso è tardi, il tempo stringe. Le pesche maturano in fretta vicino al camino. E’ già passato tutto questo niente. Dove saremo tra 10 anni, lo decideremo sul momento come abbiamo sempre fatto. Io galleggio, questa è la verità. Con lo sguardo che non arriva neanche alla fine della prima onda. La capacità riconosce se stessa e si spaventa: alzare il mento non è impossibile ma solo indesiderabile. Calimero aveva un che di noto, di familiare, quando dal piccolo schermo mi salutava. Nonostante ciò io, barricato dietro il tavolo grande della cucina, mi riparavo da lui, colpo di mortaio. Eppure nulla lasciava presagire il massacro. E’ vero, una piccola televisione offriva l’agio agli spari già dai tempi del fasciatoio. Ma così piccolo fu quel primo schermo, che forse salvarsi non era impossibile. E poi? Ricordo bene il 78, e la sua estate. Coi mondiali di calcio in Argentina. Dove distratti dagli urli dei campioni, alcuni non s’accorsero del massacro segreto. C’era il papa santo, meglio che quello buono. C’era la nazionale giovane di Bearzot, che lasciava sperare in una pacifica borghesia. Il presidente della repubblica nasceva dal sangue di resistenza, ma già portava con sé la gomma a cancellare i futuri ricordi di battaglie contro l’istituzione. Già ammiccava, imbellettandosi. Fingendosi amico. Fu facile, insomma, lasciarsi distrarre. Ingannare. Ingoiare l’amo col desiderio che fosse tutto un boccone prelibato, quella falsità. Ricordo il giorno d’estate in cui lo schermo s’allargò e divenne a colori. Mio padre e l’antennista che facevano spola tra casa nostra e il tetto. E si fermavano poi di regola in salotto. Un salotto caldo di tufo e calce. E di mura bollenti dell’estate di Puglia. Invasati. Ipnotizzati. Io piangevo, perché volevo vedere cartoni a colori di cui giusto un momento prima ignoravo l’esistenza. E loro due mesmerizzati davanti alla partita, a colori anche essa. Mi rendevo conto che per mio padre non era come col prosciutto. Mi rendevo conto del limite al quale era giunto. Al quale insieme giungemmo. La prima volta per lui, la prima per me. E fruirne fu priorità. Ecco il mostro che c’eravamo messi in casa. Ho visto cancellare ogni rispetto da quel mostro. Ho visto cedere il passo alla colazione tutti insieme. Ho visto cedere il passo alla ragionevolezza delle posizioni assunte. Ho visto davvero fare incetta di santi. Ho visto santificare Moro, santificare Berlinguer. Ho visto santificare persino suo cugino Cossiga e i suoi carri armati. Adesso mi chiedo, sarà stato un incubo? Il modello in crescita ringhia. Morde il freno. Urla decrescita e intanto sogna. Sogna mondiali da vincere ai piedi di un palco, dove bonario un re sorride, fiero del lavoro a cui fa attendere tutti i suoi sudditi, in maniera diseguale, come giustizia impone. Dove andrebbe la nostra vita senza Pablito Rossi? Per fortuna alla scuola di Meccanica della Marina mi hanno insegnato che se attacchi due elettrodi ai coglioni di un uomo, non lo fai quasi mai per fargli un favore. Così ti penso mentre viaggi sul treno, di notte. E scopro che sono anche io in questo viaggio. Attendo. L’ipotesi meno estrema e più duratura. Quella che non funziona. Poi un giorno mi alzerò, ed andrò a indossare l’argilla, come fossimo a una sfilata di demoni sumeri, reietti e superbi. Un prete finge l’orgasmo. Il demone abbandona il corpo che ha invaso. Il corpo cade inerme. Mai più in vita conoscerà quell’intensità. Raccolgo il panno floscio da terra. Prima che qualcuno in accesso di necrofilia lo violenti pensandolo morto, piuttosto che in semplice pausa di presenza.

7 commenti:

  1. mia madre acquistò il primo televisore nell'estate del '70 e coincidenza volle che stavano per fare i mondiali che però non vidi, ma tutta una serie di vecchi film in B/N che trasmettevano in occasione della fiera campionaria, poi qualche sera volevo vedere un film e mia madre me lo proibiva e poi me ne andai e non avevo più il televisore, il colore lo vedevo in qualche casa di amici e mi pareva tanto strano e per anni il televisore stavolta a colori stette nella mansarda non riscaldata, al freddo dell'inverno o al forno dell'estate, ragione di più per vedere qualche raro telefilm insieme ai bambini, sempre meglio qualche autopsia che mangiare in compagnia di qualche quiz o di qualche recente pacco...
    mia madre oggi dice che fa caldo non perchè lo avverte ma perchè lo ha detto la tivvi... quante perle di saggezza dispensa questa tivvi!!!

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  2. fa il bello e il cattivo tempo, pur essendo proverbiale l'inesattezza delle previsioni meteo che trasmette... :))). (in realta', come tutti i poteri, e' un potere effimero)

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  3. tempo d'attesa, senza voler sapere cosa c'è oltre...consapevoli che ciò che viene propinato non è la verità...

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  4. Nel 1978 avevo 10 anni, ricordo le colonie estive, il giornale in ciclostile che facevamo la e i mondiali. Ricordo le lettere di mia zia da Buenos Aires, l'odore di quelle buste, un odore che avrei sentito in quella città quasi 20 anni dopo. Molto spesso la corrispondenza veniva intercettata, non so quanto la mia famiglia in Italia fosse ignara di quello che stava accadendo.
    Non ho desaparecidos fra i miei familiari e conoscenti, ho le loro testimonianze, la paura che sentivano ogni qual volta che vedevano una macchina sconosciuta parcheggiata sotto la loro casa.

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  5. @luisaluz e che qualsiasi menzogna ti raggiungera' anche se avrai gli occhi chiusi sullo schermo. persino se non avrai lo schermo.

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  6. @sabrina ancarola ancora adesso, quando se ne parla in skype, gli amici argentini abbassano il tono della voce.

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