(Fotografia di Francesca Anita Modotti)
Ah beh sì, è
così, non c’e’ dubbio alcuno ne’ alcuna amara sorte. Ci sono porte, ecco. Alle
volte ci sono anche portoni. Generalmente arcigni e chiusi. Anche le oche ci sono,
nei cortili, oltre i recinti. E ci sono mura bianche e mura scure, come ci sono
anche ciottoli che lastricano le viuzze nei paesi, strette e capaci anche a
volte a ripararti un po’ dal vento freddo della montagna. E poi c’è qualche
castagna. Non scherzo, anche qualche castagna c’è. Costa due euro al pacchetto,
questa merce. E mi ricordo quell’altra festa del vino, quella in cui ero adulto
poco più di un bambino, e già allora in mezzo a questo delirio me ne
andavo in giro coi miei compagni sotto il cranio, e chiuso dagli occhi facevo
capolino, quando uno di quelli s’affacciava a spiare il mondo a cui era ed è
alieno. Già da quel tempo tutte le mie psicosi avevano le carte giuste per
tenere la mano. E non c’era da fare nulla se non pregare. Chiudersi dentro un
riccio ancora più cattivo e pregare. Adesso voi non lo sapete, ma la preghiera è
un sintomo e definisce la malattia. E io invece ne so, perché sono malato. E
no, non credo mica a quelle teorie per le quali solo il medico può vedere
dentro al secchio e scindere il risotto dalla merda. Anche il malato può,
proprio perché genera da sé la sua malattia. Così qualcuno all’epoca chiamò la
polizia. Che arrivò tutta defilata decisa a sfondare il cordone. Silvia mi portò
via. A due passi dal bancone cominciammo a baciarci furiosamente. Ecco, le
cercavo in bocca il cuore mio, ben sapendo che non l’aveva mica mangiato lei. E
mi venne, all’epoca in cui ero adulto poco più di un bambino, anche di chiedere
dove stesse di casa sua madre. Oggi piuttosto vorrei piovere sui gatti di tutto
questo paese pazzo che formalizza una dittatura allegramente, con gioia. Gruppi
inneggiano alle elezioni, forse scrivono la storia. Forse è strategia, tattica,
opportunismo. Forse sono io davanti a questo momento intriso di specchi sfasciati
che tagliano, pungono, rispettano il nemico almeno quanto rispettano la
ritirata. E’ tutto così, tutto in festa, tutto in cascata. Filari di piscio
scolano lungo i gradini. In slalom taglio i piedi di chi mi capita a tiro.
Qualche scusa la dico anche. Ma la mia specialità è entrare e
uscire dalle serate come se non avessi un corpo vero e proprio. Come se la
materia potesse generarsi da sé a mio comando o per mia alchimia. Scriverò un
libro e tramuterò questa potenza in oro. Così svaluterò il metallo giallo e farò
un favore a qualche extraterrestre col pianeta malato. Ecco, devo smetterla di
parlare con gente cresciuta a cazzi e Urania. Insomma, adesso come adesso sono
anche un po’ più stanco di cinque anni fa. E non guardo in faccia nessuno, era questo
che volevo riportare della cronaca. A quella festa in cui ero adulto e bambino,
finivo sempre a cercare il cuore dentro le bocche di chi non l’aveva neanche
assaggiato. Adesso invece navigo addirittura staccando la spina alla vista. Da
quel che ne so, potrebbe essere segno di due cose: o ho imparato che la ferocia
serve come il salame a un vegano, oppure questa corrente che mi prende e
pasticcia ha un profumo familiare, ogni tanto.
...è tutto così assurdamente confuso e chiaro...
RispondiElimina@luisaluz a tratti sembra quasi che sia tutto... scritto... :9
RispondiElimina...è vero... :-)
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